
Ex Manicomio di Volterra
Un viaggio in due tempi, fuori dal suggestivo borgo di Volterra, famoso per la sua storia antica etrusca e medioevale, si cela una storia diversa, oggi nascosta da una folta vegetazione e divenuto luogo dell’abbandono.
Amo camminare, ma sono anche curiosa di storie vere e leggende, e mi interessa saperne sempre di più. Ho sentito parlare di questo luogo, ho cercato, ma osservare con i propri occhi è sentire ben diverso che guardare un video.
Chiediamo in paese come arrivare qui, ci viene indicata la via, siamo qui per svolgere commissioni ma ci incuriosiamo e troviamo il tempo per una visita di perlustrazione.
Arrivati, attraversiamo il cancello che lascia aperto un passaggio senza forzature e siamo davanti ad uno specchio di acqua una volta probabilmente era una fontana,ora un grande vascone di acqua ferma e stagnante al centro di un giardino abbandonato, e proseguendo siamo davanti alla porta di quella che era l’ingresso del manicomio.
Guardiamo dentro, ampi ambienti popolati di polvere e presenze impalpabili che forse ci osservano da dietro il vetro.
Faccio un giro attorno alla stabile, da sola, un brivido mi attraversa, cammino lentamente nell’erba alta, mi lascio attraversare da sensazioni che per un attimo mi rapiscono, percepisco dolore, isolamento, silenzi e solitudine, forse rassegnazione. Avanzo e torno alla realtà, ma percepisco il dolore profondo di vite interrotte e bloccate qui dentro per sempre.
L’emozione è forte il tempo è poco e decidiamo di andare via. Ma quando stiamo per salire in macchina arriva un prete che ci saluta, ci spiega la motivazione della stola viola, un fedele è mancato alla comunità…scambiamo qualche parola e gli chiediamo di più, lui racconta, ci parla di una brutta storia, qui fino a 5000 persone furono internate, qui scorreva la pazzia e il dolore, la gente, bastava poco per entrare qui. Un comportamento irascibile, una posizione scomoda, ci fu un periodo dove bastava il pregiudizio.
Ci racconta che qui era una vera e propria città, chi veniva internato lavorava, si costruivano nuovi padiglioni, accudivano il bestiame, e qualcuno guariva e tornava ad avere una vita “normale” in una città senza visibili mura.
Il vero manicomio era lassù, dice indicando la collina verso cui sta guardando, la erano i malati gravi, quelli che chiamavano i matti.
Ma se volete visitarlo si può, si sarebbe vietato, ma la gente ci va, peccato se lasciano andare tutto in malora.
E sono d’accordo con il suo pensiero, ma forse è anche giusto che natura nasconda il dolore e preservi quel che resta di una dignità negata.
È poi vero che molte ricerche avvenute in questi luoghi hanno dato risultati benefici, quello che oggi può o poteva apparire un errore all’epoca era non conoscenza.
“L’ignoranza di oggi è il probabile sapere di domani”
Salutiamo il prete e lo ringraziamo per averci raccontato questa triste forse, ma affascinante storia. Dobbiamo rientrare ma il pensiero non ci lascia; infatti passano pochi giorni e decidiamo di tornare per andare sulla collina.
Una fitta vegetazione permette a molte specie di uccelli di vivere qui, un concerto di canti che si mescolano rallegrano questo bosco.
Arriviamo ad un cancello semichiuso, guardiamo attraverso e la curiosità cresce. La strada prosegue dietro una curva, intanto passa un uomo a passeggio con il suo bellissimo cane, si offre di accompagnarci, si non si potrebbe, ma se non entriamo nei padiglioni pericolanti e non arrechiamo danno al luogo e vi andiamo con rispetto si può, dopotutto è un luogo storico, e la psichiatria come la psicologia mi hanno affascinato tanto da incrociarle e passare qualche anno a studiarle.
Attraversiamo il cancello e camminiamo, un lunga scala di pietra sale a sparisce tra gli alberi che la adombrano di ricordi.
Dopo l’ultima curva i padiglioni dove venivano ricoverati i gravi, gli psicotici gravi, gli schizofrenici, e catatonici e i violenti. E qui c’erano i veri internati, quelli dell’elettroshock, quelli che non sarebbero mai più usciti.
Ci viene narrata la storia, osserviamo le fattezze e lo stile. Poi ci indica un murales inciso con la fibbia di una cintura che era inclusa nell’abbigliamento di un internato Fernando Oreste Nannetti Nof4, la sua storia è rimasta famosa, lui con la sua testimonianza lasciata su metri e metri di muro; formule, concetti, frasi, alcune intraducibili, immagini.
Lui che dall’età di 7 anni ha vissuto in manicomio.
Scatto foto, entro nell’androne di un padiglione, numerosi crolli dove ha ceduto il pavimento, muovo qualche passo, scatto ed esco.
Il cane inizia a fare allegre corse inseguendo vortici di vento che da qualche parte ha iniziato a soffiare ed è tempo di rientro.
Oggi assecondo le mie emozioni, incuriosita della storia che il nostro ospite ci narra, ed è un bene perché qua si sente un strana sensazione, tira vento ma l’aria sembra immobile, tutto sembra fermo nel tempo, solo la natura sembra muoversi con le sue lunghe mani per sistemare e riprendere ciò che è suo.
Al cancello ci salutiamo, ci diamo la mano nel ringraziarlo con un arrivederci.
Non ci siamo presentati, non ricordo ad oggi il nome del cane, ma non è importante lasciare sempre il nostro nome, non so come si chiamava, ma il modo in cui ci ha narrato del manicomio di Volterra, il rispetto usato verso chi aveva un disagio mentale ha fatto si che non scorderò questo incontro.
Sul cammino si incontrano tante persone che non si vedranno forse mai più delle quali non si sa nulla, e questo conserva un fascino e un modo di ascolto che solo il silenzio, prima e dopo un augurio di arrivederci, sa quanto ha da comunicare.
Spesso sul cammino si è soli, e un semplice buongiorno, può significare molto e lasciarci di un posto nascosto per la sua storia triste e immobile un ricordo positivo e di comprensione per volgere quello che apparentemente è vergogna e un aspetto sociale importante che grazie a questa storia ha cambiato e migliorato molte situazioni grazie allo studio se così si può dire…
Anche questo è trekking, alternativo, i luoghi dell’abbandono sono conoscenza e memoria.
Buon Cammino!!
Lascia un commento e per informazioni non esitare a contattarmi, sarò lieta di darti un suggerimento.
- On 16 Agosto 2018
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